Genesi 7 Dopo
aver dato uno sguardo d'insieme e avere constatato come la catastrofe
acquatica dell'epopea di Gilgamesh abbia certamente influenzato il
redattore di Genesi, cerchiamo di immergerci nelle acque del diluvio
biblico, per sciogliere i nodi di questo antico mito, di questa
metafora, che ricorda molto da vicino certi riti di iniziazione, che
costringono a morte simbolica l'iniziato, per farlo poi rinascere a
nuova vita. Le acque del
diluvio possono essere affrontate, in linea di massima, in due modi: 1)
il ricercatore, a seguito di lunga "macerazione", decide di
immergersi nelle acque del proprio Yetzirah (nel suo mondo dei
sentimenti), dopo avere consultato libri di saggezza, o seguito gli
insegnamenti orali di un saggio (fra la cui schiera possiamo anche
annoverare qualche bravo analista); 2) Un individuo che si rifiuta
ostinatamente di fare il proprio dovere, un bel giorno
viene scaraventato in mare da una "tempesta" provocata
dall'ira del 'suo' Dio (vedi Giona), viene inghittito da un pesce
(un'arca…di salvataggio), e diventa, giocoforza, un ricercatore. Il
primo percorso è seguito da tutti coloro che per molto tempo si sono
posti le domande fondamenteli della vita (Chi sono? Da dove vengo? Dove
vado?) ed alla fine hanno capito che la Verità va cercata dentro,
piuttosto che fuori. Quindi, da quelle persone che fiutano alla base
dell'esistenza materiale personale (mascherata), Qualcosa di più
sottile, più grande ed impersonale, che come un palcoscenico accoglie
la sacra rappresentazione della vita di questo infinito universo. Il
secondo percorso "è imposto" a tutti coloro che (vedi
Pinocchio) hanno vissuto la loro vita come dei burattini, e che alla
fine dovranno essere ingoiati dal pescecane, per venire rigenerati come
veri uomini. Che l'arca di Noé ricordi molto quegli strani recipienti
alchemici che vanno chiusi ermeticamente
dopo avervi messo dentro la materia prima da sottoporre a
trasformazione, è stato detto e ridetto. Che la cosa ricordi anche le
quarantene imposte per le naturali purificazioni e decantazioni, è cosa
evidente. Che esso possa esser derivato dalla convergenza di antichi
miti lunari con temi di inondazione, è stato suggerito da noti studiosi
("Le fasi lunari, come dirigono le cerimonie di iniziazione - in
cui il neofita 'muore' per 'rivivere' - così si trovano strattamente
legate con le inondazioni e col diluvio, che annientano la vecchia
umanità e preparano la comparsa di una nuova umanità" - Mircea
Eliade - Trattato di storia delle religioni - Boringheri, pag.191,192).
Ma ovviamente il tutto va preso per quello che è, un mito: se l'umanità
va tutta annientata, la nuova umanità non potrà comparire. L'umanità
è l'uomo, o meglio Adamo-Eva, la coppia presente in ogni individuo (!),
e Noé è l'oro alchemico senza cui non potrà essere prodotto altro
oro: è la saggezza, la buddità, la cristicità che per tre giorni,
quaranta giorni, sette giorni, dovrà essere chiusa nell'arca-crogiolo-sepolcro,
per risuscitare alla fine in Gloria. Senza lievito il pane non monta…
Certa psicanalisi ha fatto propri i vecchi principi alchemici, scorgendo in essi vera e propria
scienza della psiche (vedi Jung e la sua scuola); è riuscita ad
attingere persino da vecchie discipline come l'astrologia, rendendole omaggio con "scientifiche" tipologie
psicologiche tutte riscontrabili in essa. Certi studiosi dell'anima
hanno con coraggio percorso sentieri molto criticabili dal punto di
vista scientifico, perché hanno fiutato un
gravissimo pericolo nel materialismo scaturito dall'euforia della
scoperta dell'inconscio. E nonostante hanno cercato di non pronunciare
mai il nome 'Dio' , sono stati colpiti da 'scomunica' da parte di tutto
il mondo scientifico (o pseudo tale). Oggi un mito come quello del
diluvio, da qualcuna di queste scuole viene rivoltato come un calzino, e
viene affrontato in modo tale che, un ricercatore alle prime armi può
attingervi sicuramente delle ottime indicazioni. A noi, per il momento,
basta entrare nel diluvio con la nostra piccola arca e dire: che siamo
come un grappolo d'uva che noi stessi pigiamo; che siamo gli autori
(volontari, ipotesi uno, o involontari, ipotesi due) del nostro
diluvio di mosto; che fermentiamo per nostra stessa decisione un paio di
giorni prima di essere autotorchiati; che noi stessi fermenteremo per
quaranta giorni nelle botti; e che alla fine, come un buon vino,
conseguiremo ciò che da sempre era stato in noi: lo Spirito…
Grazie. N.M. |