QUESTA E' LA VITA
(
riflessioni interpretative di Maurizio)

 

Il film si basa su alcuni lavori di Pirandello. Tuttavia, avendo esso  - per le caratteristiche proprie del linguaggio cinematografico e per l’interpretazione degli autori - una configurazione autonoma rispetto alle opere originali del grande drammaturgo, ritengo di doverne rispettare la struttura e le modalità come un’opera a sé stante. I quattro racconti sono stati scelti e disposti all’interno del lungometraggio in forma di episodi, e seguono un ordine che possiamo relazionare ai quattro piani dell’uomo e dell’’Albero esoterico’ nel seguente modo:

 

 

In tutte e quattro le narrazioni il motivo dominante sembra essere la ribellione rispetto ad imposizioni o cristallizzazioni di ordine sociale, economico, politico, morale e via dicendo. Il senso generale è collegabile con l’intento pirandelliano di scardinare i luoghi comuni, le opinioni ‘collettive’, le verità valide per tutti, le mentalità gregarie e, per ciò stesso, condizionate e violente. Il significato più profondo di questa tematica, nel senso della ricerca del Sé, esprime l’esigenza di liberazione dalle zavorre del conosciuto e l’autonomia da ogni limitante sovrastruttura del pensiero. In quest’ottica, ognuno degli episodi del film è interpretabile come una presa di coscienza e un atto di sfida alle imprigionanti catene dell’ego.

 

 

 

La Giara

 

1.      Il ‘padrone’ dispotico del racconto tiene nella massima considerazione l’interesse personale e il vantaggio economico rappresentato dalla ‘giara’, nella fattispecie un contenitore d’olio, cioè di ricchezza, che non lo lascia mai pago o soddisfatto: gli sembra troppo piccola, non del tutto rispondente alla sua ambizione e alla sua avidità, non abbastanza capiente; tuttavia se ne preoccupa moltissimo, come del suo maggior bene.

·        Qualsiasi ‘vaso’ o ‘recipiente’ è simbolo del corpo fisico: spesso gli dei di varie tradizioni, nel creare l’uomo, modellano un vaso. Anche il Dio della Bibbia utilizza della ‘creta’, infondendo in essa il soffio vitale.

2.      Il ‘padrone’, viceversa, mostra disprezzo o noncuranza per la vita dei suoi sottoposti e dei i contadini da lui dipendenti, i quali possono destare la sua sollecitudine solo in quanto ‘strumenti’ del proprio potere e della propria affermazione.

·        La struttura sottile e densa di significato dell’Universo è basata sull’interrelazione: ogni essere vivente è legato in forma sottile o manifesta a tutti gli altri e ad ogni altra cosa. La comprensione di questa verità è Illuminazione, e predispone all’apertura del cuore e della mente.

·        Sentirsi ‘separati’ da tutto il resto è espressione della mente condizionata e dell’io, ed e l’anticamera dell’’inferno’  sia interiore che esteriore.

3.      La giara, inspiegabilmente, viene trovata rotta: una crepa si insinua nel modus vivendi del ‘padrone’, nel suo mondo, nel delirio di onnipotenza incentrato sul potere materiale.

·        Un tale evento corrisponde al confronto dell’individuo con la malattia, la vecchiaia, la morte, il dolore.

·        Il dolore, per chi lo subisce, è inspiegabile, immotivato e imprevisto; eppure è il grande ‘motore’ dell’evoluzione della coscienza. Senza di esso, per lo meno ai primi stadi dello sviluppo, non ci sarebbe consapevolezza.

4.      L’artigiano chiamato a riparare la giara porta con sé alcune caratteristiche dello stregone, dello sciamano, del mago; inoltre è l’unico conoscitore di un misterioso ‘mastice’ in grado di saldare miracolosamente il grande vaso. In un certo senso questo personaggio, visto nel contesto del racconto, rappresenta il mondo ‘sottile’, interiore: è anima, specchio e ‘maestro spirituale’ del protagonista.

·        Se la giara può essere il ‘corpo’, il ‘piano fisico’, l’artigiano-mago-sciamano ne è l’essenza animica e spirituale. Rimanendo imprigionato nella giara, egli fa da specchio al padrone stesso, prigioniero del corpo e di una visione limitata della vita.

·        In Oriente c’è una storia che sembra in relazione con il nostro racconto: una scimmia, infilata una mano in un vaso per rubarne un frutto contenuto all’interno, non è capace di ritrarla fuori perché il pugno stretto intorno al frutto è più grande dell’imboccatura: per liberarsi dovrebbe lasciare la presa rinunciando alla sua avidità.

·        Così dovrebbe fare anche il ‘padrone’, questo è il suo enigma da risolvere. Nel frattempo lo ‘sciamano’ prende gusto alla situazione e scimmiotta caricaturalmente, da vero Maestro, l’avidità del protagonista: rifiuta di uscire per non dover ripagare il vaso. L’anima, se non c’è una vera presa di coscienza, potrà anche rimanere confinata nella ristretta visione del corpo: per ciò che la riguarda la cosa è indifferente, è interessata soltanto ad una evoluzione effettiva.

·        Tuttavia, pur essendo chiuso nella giara, l’essenza spirituale è capace di chiamare a sé gli altri  facendo leva sul principio di interconnessione universale. Lo ‘sciamano’ è imprigionato, ma materializza una festa fra i contadini: canti, balli, divertimento, condivisione, gioia.

·        Il ‘padrone’, viceversa, pur essendo ‘libero’, è solo e prigioniero della sua arroganza. La cosa lo farà andare in collera e, impulsivamente, romperà la giara, cioè rinuncerà ai suoi attaccamenti.

·        Di fronte alla sofferenza, qualcosa di interiore ha cercato di porre riparo. L’ha fatto nell’unico modo possibile: mettendo in discussione le certezze dell’io, portando il protagonista ad osservarsi, a comprendere e superare i suoi limiti, sia pure attraverso una crisi.

 

 

Il Ventaglino

 

1.      La Roma dell’episodio narrato ha probabilmente da poco tempo subito una grande trasformazione, una rivoluzione: l’esercito piemontese e il relativo Regno sabaudo dominano la città rimasta fino ad allora, per centinaia di anni, dominio papale.

·        Una parte del simbolismo del crollo della Roma papalina è legata al superamento delle limitazioni di certi valori religiosi: le conseguenze di ciò hanno informato tutto il successivo XX secolo, e ancora oggi, per certi versi, stiamo elaborandole.

·        Porta Pia, già nel nome – lo stesso del Papa dell’epoca, Pio IX - indica il tipo di religiosità in cui avvenne la breccia. La ‘purezza’ e il ‘pietismo’ dei nomi, delle terminologie e delle dimostrazioni pubbliche, di facciata, spesso si sposano male con il potere e la relativa arroganza.

·        Pio IX rifiutò il cambiamento e vi si oppose in ogni modo: i suoi proclami, le encicliche, i provvedimenti sono tutti contro un ‘modernismo’ da lui giudicato pericoloso, eretico e contrario alla ‘fede’.

·        Lo Stato sabaudo, il Regno nascente, di converso, rappresentarono in quell’epoca la coscienza innovatrice, la ricerca di nuove forme di religiosità e di conoscenza interiore fondata sul recupero di tradizioni misteriche e magiche. Torino si contrappose a Roma, e non a caso ancora oggi la città piemontese conserva un’aura di magia, di esoterismo. Proprio in quella città, emblematicamente, fu fondato scientemente un importante Museo Egizio e fu ricoverata la Sindone: recupero e conservazione di antichissimi Misteri, allora contrapposti e usati come baluardo contro l’autorità della Chiesa cattolica sulle coscienze degli uomini.

2.      La giovane donna del racconto in esame, in sostanza, è totalmente indigente; diviene madre e viene trasportata dagli eventi della sua vita in una città e in un mondo che non l’accolgono in nessun modo. E’ sposata, ma il declino della Chiesa non garantisce la validità del matrimonio. E’ disposta a guadagnarsi il pane onestamente, ma ottiene solo qualche elemosina e l’aggressione arrogante e altera di una nobiltà papalina che ha conservato i suoi privilegi di casta.

·        Tutta la vicenda, dunque, è una descrizione della mancanza di ‘valori’, simbolicamente rappresentati dal denaro.

·        Questo sembrerebbe dar ragione al Papa dell’epoca nella sua condanna del cambiamento: nella realtà, però, il crollo delle ‘facciate’ mette allo scoperto carenze già presenti. Quello che sembra un peggioramento non è che una presa di coscienza. La povera gente della Roma del ‘Papa Re’ non era meno indigente, ma la sofferenza era nascosta dietro una maschera di pietismo religioso e di carità cristiana.

·        La donna del racconto, in definitiva, corrisponde al sentimento di smarrimento della nostra stessa epoca: ancora oggi lamentiamo la mancanza di ‘valori’; le facciate religiose, politiche, ideologiche, i moralismi, non ci soddisfano più. In generale, però, non c’è ancora una valida sostituzione dei vecchi riferimenti con dei nuovi, magari non più imposti dall’esterno, ma scaturenti dall’intimo dell’uomo. Per questo motivo molte persone si dimostrano ‘nostalgiche’ delle vecchie ideologie, e cercano di ritornare a posizioni più autoritarie per assecondare un falso desiderio di sicurezze.

·        La vera sicurezza è nella crescita interiore: l’uomo ‘adulto’ interiormente non ha bisogno di figure genitoriali che gli impongano disciplina e moralismo.

3.      La nostra protagonista, improvvisamente, ha una sorta di illuminazione: un ‘ventaglino’ suggerisce un’idea rivoluzionaria, produce un’aria nuova nell’opprimente situazione che sembrerebbe poter annientare sia lei che il suo bambino. Invece di subire passivamente, decide di sedurre, cioè di ‘condurre a sé’, di farsi parte attiva degli eventi prendendo l’iniziativa.

·        Considerate le osservazioni precedenti sul senso dello Stato nascente, l’idea di entrare in rapporto con gli uomini di questo nuovo assetto ha un chiaro significato metaforico: ‘sposare’ attivamente la nuova causa, il rinnovamento, le dottrine e i valori ‘bollati’ (letteralmente) di eresia dall’autorità religiosa dell’epoca.

·        Non avendo letto la novella originale di Pirandello non so dire se sia lui a conservare in parte una sorta di remora moralistica non ben elaborata rispetto alle premesse, oppure se siano gli autori del film. Se, infatti, le interpretazioni simboliche e anche storiche del racconto possono essere quelle anzidette, vedere come ‘prostituzione’ l’accoglienza dei nuovi valori coincide con l’opinione di Pio IX. Talvolta, a causa di una mentalità ancora chiusa e timorosa, i rinnovamenti vengono interpretati come uno scadimento, uno svilimento, un ‘vendersi’ a componenti estranee rispetto al punto di vista vita fino a quel momento seguito.

·        Per fortuna la giovane donna del racconto, che nel finale del film viene lasciato un po’ ‘in sospeso’, all’immaginazione dello spettatore e senza entrare nei particolari, appare in realtà serena e determinata: è lo specchio di un sentimento che ha saputo ritrovare in sé stesso le necessarie qualità dell’indipendenza, della forza e della determinazione.

 

 

 

La Patente

  

1.      La mente, spesso, non riesce a comprendere la ‘sfortuna’: quale ne è il motivo? Perché alcune persone sembrano perseguitate dalla sorte come il nostro protagonista, che ha perso il lavoro e la cui moglie è diventata paralitica? Eppure le visioni più illuminate sulla vita e il destino tendono a formulare asserzioni analoghe alle seguenti:

a)      esiste una Legge superiore;

b)      nulla succede per caso;

c)      il destino non è ‘cieco’, bensì è regolato da quello che gli orientali chiamano ‘karma’ – cioè dalla conseguenza delle proprie azioni – e il suo fine è quello dell’evoluzione della coscienza;

d)      la vita non si riduce all’attuale esistenza, ma il suo filo logico affonda nel passato e prosegue nel futuro.

2.      Paradossalmente, non comprendendo tutto ciò, gli uomini cominciano a temere proprio chi è ‘sfortunato’: hanno paura di esserne contagiati, quasi che questi fosse portatore di un misterioso potere malefico che, in sostanza, è la loro stessa paura. Viene, così, creato una sorta di ‘capro espiatorio’.

·        Un tale atteggiamento è dovuto a ignoranza del Sé, alla mancanza di fede in un Ordine superiore, al rifiuto di cambiare seguendo gli insegnamenti della Vita.

·        Considerare la sfortuna, o la fortuna, come causati da eventi esterni significa declinare la responsabilità della propria sorte.

·        Tutti noi siamo portati a pensare che la nostra felicità o infelicità siano causate da qualcun altro, oppure dalle circostanze. In questo modo, però, rinunciamo al nostro potenziale di libertà e ci rendiamo dipendenti dalla Ruota samsarica degli eventi.

3.      Il protagonista della storia in esame reagisce alla sfortuna e anche al giudizio altrui. Non si rassegna, si ribella alla sua condizione e decide di cambiare il destino.

·        Chiede un giudizio in Tribunale: simbolicamente, in realtà, chiede Giustizia, si appella ad una Legge superiore per comprendere e risolvere le sue disgrazie.

·        Smaschera l’illogica superstizione degli abitanti del suo paese utilizzandola a loro sfavore. Portando l’ignoranza alle estreme conseguenze, ne fa un paradosso: se gli altri lo considerano uno jettatore, cosa di cui si rende perfettamente conto, proprio su questo giudizio può costruire la sua fortuna.

·        Qualsiasi situazione negativa, quindi, può essere ribaltata nel suo contrario.

·        Non questo stratagemma, che ha più il sapore della sfida e dell’accusa, quanto la reazione all’opprimente prigione del preconcetto, riusciranno a liberarlo dalla sua prostrazione.

·        La stessa cosa vale quando il giudizio negativo è interiorizzato e la severa inquisizione è dentro di noi: recuperando il senso del diritto e l’autostima ci si può liberare di imprigionanti sensi di colpa che, di per sé, costituiscono la cosiddetta  (e autoinflitta) ‘jella’.

 

 

 

La Marsina Stretta

 

1.      Le convenzioni sociali possono starci strette come un’antiquata marsina in disuso.

·        Il professore del racconto agisce, sente e pensa come un bodhisattva.

·        Un vero insegnante, in effetti è un bodhisattva, impegnato com’è nell’aiuto agli altri, nella compassione, nel desiderio di far crescere.

·        Attraverso il ruolo dell’insegnante traspare un grande archetipo: quello del Maestro spirituale, l’aspetto più alto di questa funzione.

2.      Questo professore è diverso dal vano colonnello, come anche dai ricchi ‘imprenditori’ parenti dello sposo: la sua è l’autorevolezza del cuore.

·        Come tutte le persone miti, però, il suo comportamento tenderebbe alla remissività, alla rinuncia, all’accettazione non combattiva: i prepotenti arroganti, l’opinione comune con la sua protervia, di solito, hanno la meglio.

·        ‘Fortunatamente’ egli indossa una marsina troppo stretta per comportarsi docilmente: è troppo irritato. Simbolicamente ciò allude alla presa di coscienza del professore: ormai le formalità e le apparenze convenzionali gli stanno strette.

·        La capacità di reagire, di far valere i propri o gli altrui diritti è molto importante, da sviluppare: progredire interiormente significa anche saper lottare.

In tal modo, unendo la compassione con la capacità combattiva si realizza una conjunctio oppositorum di grande valore ed efficacia, adombrata nel film dal felice matrimonio finale.

 

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